Specialista patologie spalla e gomito
La frattura prossimale dell’omero è la seconda frattura più comune dell’arto superiore e rappresenta il 10% di tutte le fratture nei pazienti oltre i 65 anni di età. Questo dato è in aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione, tanto che può arrivare ad interessare fino ad 1/3 della popolazione con età superiore ai 60 anni.



Frattura prossimale dell’ omero
La frattura prossimale dell’omero è la seconda frattura più comune dell’arto superiore e rappresenta il 10% di tutte le fratture nei pazienti oltre i 65 anni di età. Questo dato è in aumento a causa dell’invecchiamento della popolazione, tanto che può arrivare ad interessare fino ad 1/3 della popolazione con età superiore ai 60 anni.
Le fratture prevedono differenti tipi di trattamento in base al numero dei frammenti (2,3,4) e al loro grado di scomposizione: trattamento conservativo, sintesi con placca e viti, sostituzione protesica. Nelle fratture complesse in età senile ad alto rischio vascolare e quindi osteonecrotico la protesi inversa della spalla può essere considerata attualmente una procedura chirurgica affidabile, con buoni risultati clinici a medio e lungo termine.
Tale impianto protesico trova indicazione in differenti patologie oltre le fratture dell’omero comminute quali: rotture massive della cuffia dei rotatori con quadro clinico di pseudoparalisi, l’artrosi eccentrica secondaria a rottura massiva della cuffia dei rotatori (RC), artrosi primaria (OA), artrite reumatoide gleno-omerale (RA), e sequele di frattura ecc. Rappresenta inoltre un’importante alternativa all’artoplastica convenzionale di spalla (TSA) o emiartroplastica convenzionale (HA) qualora si riscontri un’ insufficienza della cuffia dei rotatori: tale condizione porterebbe infatti a un rapido e sicuro fallimento dell’impianto.
Protesi frattura prossimale dell’ omero e tempi di recupero
La protesi inversa di spalla (rTSA) “inverte” l’anatomia dell’articolazione gleno-omerale: alla scapola viene fissata una componente convessa ( glenosfera), mentre la superficie concava si trova nella componente omerale. Tale design modifica biomeccanicamente il centro di rotazione spostandolo medialmente ed inferiormente, ripristinando il tal modo il braccio di leva del deltoide e migliorandone la funzionalità muscolare. Questo vantaggio meccanico che si crea, permette di compensare l’insufficienza della RC grazie al deltoide, che diventa l’elevatore primario della spalla [1].
I punti cardini del percorso riabilitativo saranno il recupero della mobilità attiva gleno-omerale, dipendente in gran parte dal deltoide e dalla muscolatura scapolo toracica. A tal proposito, il fisioterapista dovrà essere consapevole della diversa meccanica articolare della spalla protesizzata, e delle possibili limitazioni articolari associate al design protesico stesso, specialmente in intra ed abduzione extrarotazione. Generalmente il paziente recupera in 12-16 settimane, circa 3-4 mesi.
Si è pertanto profilata la necessità di un decorso post-operatorio differente per un paziente che segue rTSA, rispetto alla riabilitazione prevista in seguito ad un TSA tradizionale allo scopo di agevolare un più precoce recupero articolare passivo e attivo per ostacolare insorgenza di rigidità secondarie.